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giovedì 5 novembre 2015

Luigi De Giovanni Sutta Le Capannne De Lu Ripa JEANS “space and time” - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari

Luigi De Giovanni Sutta Le Capannne De Lu Ripa JEANS “space and time” - De Giovanni Luigi pittore contemporaneo - Creazioni d'arte - Cagliari


Luigi
De Giovanni







 Sutta Le Capannne De Lu Ripa

JEANS

 “space
and time”

Il
rapporto “spazio – tempo”  è  ciò che Luigi De Giovanni  coglie e riversa, dopo averlo fatto
proprio, nelle sue opere. Queste
non sono solo istantanee di ciò che  vede, ma, anche, immagini del suo animo: sensibilità che si
trasferisce  nei colori sino a
vivificarli  e renderli
comunicativi e poetici.
Lo  “spazio e il tempo” è colore che cambia
nei diversi ambienti, con l’alternarsi del giorno e della notte, con le
stagioni,  è  jeans che parla di luoghi e d’eventi,
non sempre belli.
Le
pennellate che si sovrappongono, inseguendo la luce o le idee, diventano
trasposizioni dei climi temporali che fanno emergere la poetica dello spirito.
Mettono in luce, nel groviglio che prende forma, la follia e la cecità del
genere umano che non rispetta se stesso e la sua casa: terra.
Osservando
la natura ferita, l’artista, riflette amaramente sulla sconsideratezza
dell’uomo e trasla i sentimenti nelle sue opere che diventano icone di dolore  e di sogni.
Aleggia
una lirica cruda, mitigata solo dall’armonia coloristica, in un rimando
continuo all’uomo, al tempo e allo spazio.
Il
tempo e la natura, spazio vitale, solo apparentemente sconfitti
dall‘incoscienza umana, per De Giovanni,
hanno sempre  ragione e i
fatti lo dimostrano.  
La
linea guida dell’esposizione è data dall’espressività aspra dei jeans che
parlano, attraverso colori e segni aggressivi, di sogni infranti che coabitano
con nuovi sogni, suggeriti dai
paesaggi e dai fiori.
In
queste opere si ritrova una narrazione della sterilità dell’animo umano,
saccheggiatore  non solo
dell’ambiente ma, spesso, anche dei sentimenti,
Un’univocità
di discorso, poetico e pittorico allo stesso modo, che trova la sua ragione
d’essere nell’analisi di "spazio e tempo" che conducono alla vita e
alla distruzione di essa.
“Space
and time”, dai molteplici significati, titolo della mostra che vuole essere il
racconto di come l’artista avverte il mondo e l’arte.
                                         
                                         
Federica Murgia






Spazio
espositivo: Galleria Sutta Le Capannne De Lu Ripa
Piazza
Del Popolo – Specchia (LE)





Ingresso
libero
cell.
3283516620









JEANS di LUIGI DE GIOVANNI







          Ho visto i
"jeans" e la loro simbologia mi ha riportato ai periodi bollenti
della contestazione e della mia, allora, giovanissima età... quando ero piena
di sogni: anche io pensava di cambiare la società.
Oggi non riecheggia un "urlo nel
buio" ma si avverte l’inquietudine, la sofferenza e la debolezza dell'uomo
ormai ammutolito dagli eventi tragici che l'angosciano e dalla superficialità
dell’essere.
Scorrono le immagini sulle opere, di
De Giovanni, e si viene attratti dalla violenza dei segni e dei colori, i jeans
raccontano di molotov, di bombe, di parole e pensieri di fuoco: sono il ricordo
degli anni 60/70 e la vita di oggi.
Questi "jeans" sono un
messaggio muto di protesta, forse inutile, in un mondo rimasto immutato.
L’artista avverte una società in
disfacimento e la riporta su queste icone del passato e culto del presente.
Oggi sono più lisi, strappati,
violentati, per apparire, perché l’essere ormai non è più un valore, non più
indumento resistente al lavoro duro e alla lotta ma feticci di moda sempre più
fatua e frivola.
I jeans di De Giovanni, con i loro
simboli e i loro colori, protestano.
In essi si nota una simbologia che
ricorda quelle degli anarchici, sia nei colori rossi e neri che nelle forme che
li contengono. Non è un condividere questo movimento ma è un ricordare
l’ideologia primordiale di libertà senza regole, forse non di giustizia. La
linea nera, quasi circolare, che racchiude il fondo dei pantaloni incorniciati,
sembra una provocazione un voler dire che si è ridotti a questo.
Trovare il fondo di qualcosa è essere
alla fine, voler dimenticare, con atteggiamenti superficiali e irresponsabili,
il baratro che ci si sta scavando intorno.
In questi jeans, ormai diventati
vuota apparenza, si riscontra che guerre, fame, distruzione dell’ambiente
trovano risposte solo in un consumismo insensato e distruttivo, nella violenza
concreta o delle idee.
Oggi s’indossano jeans lisi,
strappati costosissimi e si dimentica la gran valenza dell’essere: purtroppo
non più una virtù.
Ecco l’apparire diventato status…
modo d’essere nella società è in questi strappi, in questi brandelli
sfilacciati, ora urlanti di colore e di dolore, che si riconosce la protesta di
De Giovanni che sogna ancora un mondo più giusto e in pace.
I simboli, riconoscibili nelle opere
e riconducibili al reale, parlano di violenze non viste, non udite perché le
persone “civili” educate… progressiste potrebbero turbarsi, com’è, purtroppo,
capitato dal ’68 ad oggi.
I jeans di De Giovanni, questa volta,
sbordano dalla cornice, posto rappresentativo se si vuole dare un significato,
come trasbordante e inglobante era il movimento del ’68: sogno infranto.
Sono jeans, quindi, in cornice,
oggetto o concetto artistico da conservare, dove la gran valenza rivoluzionaria
ha intrinseco significato di vuota utopia. Rivoluzione nella rivoluzione,
sempre uguale nel tempo, segni circolari, colori di un’anarchia ancora
militante, illusione vana, idee morte sul nascere sono i racconti che si
leggono su questi jeans diventati arte.
Federica Murgia































giovedì 29 ottobre 2015

“Prende forma il colore” Mostra Personale Giancarlo Cuccù


Piazza Mentana, 2/r - 50122 Firenze - Tel. 055.211985


PRESENTA :
“Prende forma il colore”
Mostra Personale Giancarlo Cuccù

Opening Sabato 31 Ottobre, ore 18:00

Art Director - Giovanna Laura Adreani

Inaugura il giorno 31 Ottobre, ore 18:00 la mostra personale di Giancarlo Cuccù. L’artista trova gli spunti delle sue opere nei paesaggi, descritti con pennellate che inseguono il vento, e nelle nature morte, raccontate con un’espressività caratterizzante del suo Io.

La mostra sarà aperta al pubblico fino al 18 novembre 2015

CATALOGO IN GALLERIA
Orari:
11.00 - 13.00
16.00 - 19.00
www.galleriamentana.it
galleriamentana@galleriamentana.it
Seguici su Facebook:
HYPERLINK "mailto:galleriamentana@alice.it"


venerdì 25 settembre 2015

“FINESTRE SUL MARE” mostra personale di LUIGI DE GIOVANNI


e20cult e  Il Raggio Verde Edizioni SRL

Presentano

“Finestre sul mare”
mostra personale di

Luigi De Giovanni


Evento collaterale: Reading di poesie sul mare

“Evento organizzato in occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI”

Studio “Sutta Le Capanne Du Ripa”, Specchia (LE), Piazza del Popolo, 21°A

Inaugurazione 10  ottobre ore 10.00
Dal 10 al 23 ottobre 2015

Con questa mostra De Giovanni espone opere realizzate per il suo progetto “e il naufragar m’è dolce in questo mare”: scorci del “Parco Santa Maria Di Leuca, Otranto e Bosco di Tricase”.
L’artista si è fermato fra i sassi scorgendo “L’infinito”, un luogo dell’anima riscoperto in un viaggio interiore che ha trovato approdo pittorico nella costa salentina: una bellissima terra pietrosa e ricca di storia, dove la natura trasmette emozioni e dona ispirazioni.
Il suo pennello, ascoltando il Genius Loci, ha cantato con i colori e ha descritto, non solo esteticamente, ma anche spiritualmente, l’essenza del luogo tanto amato. I dipinti, come se seguissero gli eventi e gli stati d’animo degli uomini, vivono di un mare in tempesta, calmo o mosso da una lieve brezza.  Raccontano di macchia mediterranea e ulivi che esprimono il tempo e caratterizzano il territorio di pietre che parlano dell’uomo e del suo naufragare nelle sirene del superfluo.
Le opere esposte sono finestre sul mare, ambiente sempre presente o intuibile nello sfondo, che coinvolgono campagne e sensazioni di un artista che dal suo punto di vista coglie atmosfere un po’ malinconiche. 
                                                                        Federica Murgia
Visitabile tutti i giorni dalle 17 alle 20
10 Ottobre, Giornata del contemporaneo: dalle 10-12:30 e dalle 16 alle 21.  Ingresso libero
e20cult.it  - info: 329.2370646





Luigi De Giovanni è nato a Specchia vive ed opera tra il Salento e Cagliari. Sin dalla più tenera età esegue disegni ed acquerelli seguito dalla madre, modellista e sarta diplomata in una delle più prestigiose scuole di Roma. Nel 1967 fa la sua prima mostra collettiva iniziando una intensa attività artistica che lo porta poi ad esporre a New York, Tokyo, Bruxelles, Madrid, Gent, Ginevra, Parigi oltre che a Milano, Roma, Firenze, Venezia, Bologna…. 1969 si diploma all’Istituto d’Arte di Poggiardo. 1970 comincia a dipingere in maniera informale usando tecniche miste e collage. 1973 con il maestro Avanessian inizia lo studio dell’imprimitura delle tele e l’uso delle terre. 1974 si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Roma. 1970  / 1978 segue il Corso Libero del Nudo. 1974 si perfeziona nella tecnica a olio. 1980 sperimenta la tempera all’uovo e realizza alcune opere con un unico filo conduttore “Le scalate sociali”. 1986 collabora continuativamente con l’antica “Galleria degli Artisti” di Cagliari. 1988 sperimenta tecniche miste con l’uso di materiali di scarto simbolo di “rifiuto” quali: segatura, trucioli metallici, pezzi di gomma inservibili, vecchi jeans, carta e tessuti e successiva performance con lancio di uova. 1988 inizia il rapporto con la Galleria “Mentana” di Firenze che lo presenta alla Fiera Arco di Madrid.1990 comincia a realizzare e ad esporre opere che hanno come filo conduttore “l’angoscia nella società attuale” e le delusioni sessantottine, cominciando ad usare i vecchi jeans come tele e come pittosculture, con successiva installazione. 1998 inizia la collaborazione con la Galleria “La Bacheca” di Cagliari. Dal 2000 collaborazione costante con la galleria “Della Tartaruga” di Roma. 2000 comincia a fare installazioni con i jeans e vari altri materiali o oggetti. 2003 comincia a collaborare con la Galleria “III Millennio” di Venezia. 2011 performance con coinvolgimento del pubblico. Nel 2012, con la curatela Toti Carpentieri, ha esposto a Lecce il ciclo di opere “Tracce di ri€voluzione”, lettura dei cambiamenti che hanno caratterizzato la società e i costumi dalla seconda metà del Novecento andando a sfogliare le pagine più dolorose della storia europea e italiana: le grandi guerre, la caduta del muro di Berlino, il ‘68, la crisi economica e politica dei nostri giorni. Nel dicembre 2012 a Specchia ha presentato l’antologica “In itinere. Visioni, segni e figure 1966 – 2012”. Nel 2013 con “Dialogo con la Natura. Oltre i 16:9” ha esposto a Brindisi, Mesagne, Tricase.                                                      
Nel 2014 mostre a: Bologna, Firenze, Lecce                                                    
Mostre con installazioni e performance:                                                                 
Specchia:
UOMO DEL MIO TEMPO” omaggio a Salvatore Quasimodo - “Forme e colori dello spirito”                                                                        
Tricase: “L’immaginazione al potere”
“e il naufragar m'è dolce in questo mare”, prima parte.
Andrano: Castello Spinola  Caracciolo 2/12 agosto 2015  con installazione con canne.
Specchia: 12  agosto “Notte Bianca” sino al 20 agosto                                                        
Roma: progetto della galleria Mentana in collaborazione con la galleria Tornatora.                                        
Firenze: Galleria d’Arte Mentana                                                           
Specchia: “Finestre sul mare” 10/23 ottobre, con performance poetica, video e installazione. “Evento organizzato in occasione della Giornata del Contemporaneo promossa da AMACI”.
                                                                                              
Biography:  Luigi De Giovanni born on 12 February  1950 in Specchia (Lecce). He graduated  to the Institute of Art of Poggiardo in the 1969. In the 1974 he  graduated to the Academy of the Fine Arts from Rome. From the 1970 to the 1978 he  follows the Free Course of the Nude. From tender age he paints designs and acquerelli followed from the mother. In the 1967 he paints frequently and he does the his before collective show. In the 1973 with the Avanessian teacher he begins the study of the “imprimitura” of the cloths and of the powders. In the 1974 he improve in the technique to oil. In the 1980 experiment the temper to the egg; he realize some operas with an only thread conductor "social climbs." In the 1988 he experiment coed techniques with the custom of materials of discard symbol of "refusal" which: segatura, metallic shavings, shiver of unserviceable rubber, paper and cloths. He begins the report with the Gallery "Mentana" from Florence that presents him to the Fair  Arc from Madrid. In the 1990 he starts to realize and to expose operas that have  like conductor thread "the anguish in the actual society"; he starts to use the old jeans like cloths for his operas to social character. From the 1979 he paints Sardinia where he spends long periods.  
          
CRITICS                                                                                
The painter’s poetical world is the symbol of a fertile song, but also a stage of happy presences, though human beings are absent. Luigi De Giovanni searches faith, a spiritual meaning. He’s an artist who feels a desire to regard canvases as pages of an endless diary, because nature’s particular and messages have no end. He feels the necessity to bring to ligth all the answers to man’s existential anxietis. In De Giovanni’s compositions the trees are the archetype that transforms itself into poetic imagination, exalted in forms referable to reality, Luigi De Giovanni choose very few themes to communicate his enlightements that reveal their meaning like intimate exclamations. His post – impressionist intimism lives through the necessity to catch on to the absolute and observes the static nature of landscapes, as something definite and everlasting.             Paolo Levi










venerdì 17 aprile 2015

Mentana in Florence e Rosario Bellante - Galleria d'Arte Mentana

Mentana in Florence e Rosario Bellante - Galleria d'Arte Mentana


GALLERIA D'ARTE MENTANA FIRENZE                                                             Piazza
Mentana, 2/3R                                  galleriamentana@galleriamentana.it.
- Tel 055 211985 cell. 335 1207156 http://www.galleriamentana.it/
Presenta: DUE EVENTI IN PARALLELO                                                           A cura della
Direttrice Artistica Giovanna Laura Adreani
Mostra premio – “Mentana in Florence”
Mostra Premio Pittura - Scultura – Fotografia                                         
Vernissage: sabato 18 aprile ore 18.00
                                                                                                                           Artisti: Ghenadie Popic, Mark Petrasso,
Lucilla Labianca, Ilaria Turco, Enrico Garoia, Enrico Napoletano, Silvia
Maccacaro, Caroggi, Giulia Riva, Antonio Lucarelli, Monia Pentolini, Moirym,
Mauro Piccoli, Robesol, Duccio Degl’Innocenti.
“Saletta Mentana”     Mostra personale di Rosario Bellante      Vernissage: sabato 18 aprile ore 18.00
Bellante è un colorista dalle
tonalità mediterranee e dalla pennellata che procede senza indugio. Da molti
anni è rappresentato, nel modo migliore, dalla “Mentana” di Firenze e in
quest’esposizione personale, presenta dipinti che ripercorrono i temi a lui
cari: opere che hanno come filo conduttore il paesaggio visto nel momento più
felice delle sue fasi. Per l’artista la natura è matrice, che ispira i suoi
stati d’animo pittorici che diventano armonie visive di panorami conosciuti e
dell’inconscio, che riportano alla sua amata Sicilia. Le opere di Bellante sono
animate da chiarori, dove le vibrazioni cromatiche sono capaci di coinvolgere
sensibilmente lo spettatore che, inoltrandosi negli scorci descritti, si
ritrova a esplorare la sfera emozionale dell’artista. La dinamicità, descritta
delle masse pittoriche, è esaltata dalle gradazioni di luce che, nelle forme
delineate da pacificanti colori ed equilibrate pennellate, sembrano volersi
svelare in contrasti di segni e di toni di rossi, di gialli e di verdi dei
primi piani: sfumature di tinte che declinano nel canto del paesaggio e dell’Io
dell’artista. La sua osservazione della natura si fa analisi che coglie mille
particolari che, prepotentemente, vogliono emergere dal groviglio di arbusti
per fermarsi nelle sue primavere dipinte, che ricercano gioia e speranza.
Un concento di colori vivaci si
accorda nelle radure pacate, smorzandosi fra le dune dove i tocchi di chiaro
fanno avvertire fragranze di mare e di vita di fiori di sabbia. Nella
solitudine del paesaggio c’è un animo investito da pensieri profondi, che, in
un monologo interiore, tenta di sfuggire al tempo dalle ombre incombenti che si
addensano in uno sfondo di nuvole e che muovono verso la malinconia
dell’autunno.                    
Federica Murgia

ORARI: 11:00-13:00- 16:00-19:30
Domenica e lunedì mattina chiuso


martedì 10 febbraio 2015

“AMORARTE” de giovanni luigi a firenze


Galleria d’Arte “Mentana” di Firenze
Piazza Mentana, 2/3R


“AMORARTE”,



Inaugurazione: sabato 14 febbraio 2015 ore 18,00
Dal 14 febbraio al 03 marzo 2015-02-07

Artisti:
Antonio Ciccone
Fabio Benedetti
Francesco Gibertoni Barca
Mario Schifano
Clara Polvani
Rosario Bellante
Francesca Coli
Margaret Karapetian
Giampaolo Talani
Paolo Lantieri
Luigi De Giovanni
Ida Coppini

La galleria Mentana di Firenze, con un gruppo di artisti, ricorda, con un evento intitolato “AMORARTE”, l’amore, in una mostra di pittura che, ripercorrendo un sentiero di tradizione e fede, vuole ritrovare nell’arte la spiritualità di un sentimento che è fermento di vita.
Dipinti che sono racconti di forme e colori, interpretano Il giorno degli innamorati partendo da un interrogativo sull’origine della festa di San Valentino, giorno o periodo che coincide con quello che riporta all’antica festa della primavera.
Sicuramente questa ricorrenza è un miscuglio di tradizione pagana e fede che conduce, nel consumismo più sfrenato, all’amore, alla magia e all’alchimia che dà valore alla vita, perpetuandola.
Il quattordici febbraio è qui festa di speranza di vita: festa dell’arte.
In questi sentimenti di gioia hanno trovato ispirazione gli artisti che, secondo la sensibilità di ciascuno, hanno dato significato alla mostra.
L’elevazione di cuori, la lampada magica o l’alchimia che s’interfaccia con il riferimento all’inizio degli amori nel mondo animale, coincide con le antiche danze di primavera e si sublimano nell’amore di coppia che invecchia come un mazzo di fiori che appassisce nel vaso.       Federica Murgia

Orari: 11,00/13,00 - 16,30/19,30

Chiuso lunedì mattina- Domenica: 16,30/ 19/30









domenica 11 gennaio 2015

Natale a Specchia: sensazioni di una spettatrice

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Natale a Specchia: sensazioni di una spettatrice
Il Comune di Specchia, come ogni anno, ha organizzato con
grande sensibilità il “Natale nel Borgo”, mirando, oltre che a un impegno di
rinnovata fede, alla promozione culturale e turistica del paese, per questo ha
accolto le proposte che gli venivano presentate dalle associazioni.
La sera del 24 dicembre 2014, com’è ormai consuetudine,
nella piazza del Popolo nel grandissimo braciere, si è accesa la catasta di
legna, per dare il via alla “focaredda”, antica usanza che, metaforicamente,
penso intendesse scaldare il Bambinello del presepe e realmente servisse alla
povera gente per vincere il freddo sferzante della piazza e per portare a casa
un po’ di brace per dare calore non solo di rinnovata festa.
Anche quest’anno le fiamme si sono levate altissime
accompagnate da uno scoppiettio che manda scintille che s’innalzano in cielo
come stelle. Dallo spigolo del palazzo Risolo si ha modo di notare che le
fiamme si dividono in due alte lingue che lasciano intravvedere il campanile
della chiesa che, con l’irregolarità e il tremolio delle luci del fuoco, sa di
magico. Sì. Il clima è proprio natalizio.
Le persone che affollano la piazza si scaldano e mangiano le
gustosissime “pittule”, preparate negli stand - cucina.
Nel castello già dal giorno 21 dicembre la mostra “Natale
d’Artista” rappresenta l’ideale concezione della Natività con le “Personali in
collettiva” di: Ute Bruno - Luigi De
Giovanni - Laura Petracca - Roberto Russo - Ada Scupola - Giovanni Scupola.
Specchia pure quest’anno ha interpretato il Natale con
grande prova di fede e sacrificio, i presepi si sono moltiplicati. Infatti,
oltre al “Presepe vivente” che è quello che suscita maggiore interesse da parte
dei cittadini e dei turisti, ne sono stati approntati nelle chiese, nel
castello e persino nei bar.
Molto significativi,
per la purezza dei sentimenti racchiusi nella poesia dell’infanzia, sono i
disegni fatti dai bambini seguiti, nei lavori, da Suor Rita dell’ordine delle
Suore Ravasco. I fogli, organizzati e allestiti in pannelli dall’
Arch.
Stefania Branca, sono capaci di raccontare il vero senso della fede e dei sogni
di pace e amore dei bambini di tutto il mondo.
Il Presepe dei
giovani dell'Associazione “Bambin Gesù”
ha anticipato la festa con una ricostruzione di ambiente quasi boschivo che,
subito, malinconicamente, mi ha riportato a Seulo, il mio paese sui monti del
Massiccio del Gennargentu, ai suoi boschi e al muschio che veniva usato in
grande quantità nel presepe della Chiesa della Beata Vergine. Istintivamente,
ho subito unito i ricordi dei miei sogni imbiancati da neve vera che, quasi per
miracolo, cadeva, a fiocchi copiosi, illuminando ben oltre l’orizzonte
nell’inverno di Barbagia, rendendo il paese stesso presepe. Ricordo che molto
in anticipo si andava a raccogliere il muschio, spesso ricco di ombelichi di
venere, profumato di bosco, le cortecce che si staccavano dai vecchi alberi, i
rami di agrifoglio ricchi di drupe rosse e i bellissimi rami di tasso arrossati
dagli arilli che, benché fronde d’albero della morte, riuscivano a colorare di
gioia il mio Natale d’allora.
Le statuine di Maria e Giuseppe e del Bambinello erano
bellissime. Non mancavano i pastori con i loro armenti, i greggi che
ricordavano i gusti di tempi antichi vissuti con orgoglio anche oggi. Il mio
presepe dell’anima, quello di Seulo, era povero ma ricco di poesia e tradizione
conservata con amore e fede.
Ho avuto modo di notare che i giovani si sono impegnati in
questi anni per conservare con cura la memoria del passato e rinnovare un rito
di fede e di calore di famiglia.
Forse per nostalgia non posso far a meno di ricordare Seulo
dove lo scorso anno venne allestito un presepe all’aperto, povero come
scenografia ma ricchissimo come contenuti. La capanna era accuratamente isolata
dalle intemperie, tenuto conto che lì non mancano neve e ghiaccio. La
mangiatoia riempita di paglia, fu subito adocchiata da un bel gattino dorato
molto infreddolito, che la scelse come giaciglio prima che vi venisse sistemato
il bambinello. L’evento diventò subito virale, attrazione turistica per le tante
foto fatte al gattino e per la loro diffusione sui media, venne salutato con
gioia, dai seulesi molto divertiti, e come un bel segno dall’alto: bisogna
sempre curarsi di chi sente freddo e di chi ha fame, di chi soffre o di chi non
può manifestare nessun segno di fede cristiana. È vero il mio paese innevato,
anche con il gatto nella mangiatoia o le goliardie giovanili, sa proprio di
Natale.
Molto interessante e ricco di spiritualità ho trovato il presepe
realizzato dai ragazzi di Ruffano, illuminato dai “soliti” fari prestati da
Tommaso Vincenti, che con pochi mezzi e molto amore hanno creato statuine in
carta pesta vestite con tessuti di recupero, cielo in raso blu e stelle in
cotton fioc. È stato bellissimo vederli emozionati e impegnati nel fare
qualcosa che dava loro gioia e a noi il senso del Natale vissuto nel modo
migliore.
Un suggestivo presepe, preparato dai ragazzi dell’ACR nella
Chiesa Madre, mostra l’attaccamento, delle persone del territorio, all’antica
tradizione della coltivazione dell’ulivo e della produzione dell’olio. Questi
ragazzi usando gomitoli di corda hanno realizzato tutti i personaggi, comprese
le pecorelle. Il tetto è stato fatto con i fiscoli (intrecci di corda, che
servivano nell’antica produzione dell’olio d’oliva) e tutta la scenografia,
inclusi gli sfondi e le quinte, con dei deliziosi “cannizzi” (intrecci di canne
che servivano per seccare al sole fichi, pomodori e tanti altri prodotti della
terra) mentre i sacchi di juta costruivano colline e pianure di fatica.
Nel Presepe della chiesa di Sant’Antonio non manca nessun
personaggio. Costruito con una cura assoluta, ha voluto rappresentare i climi
illuminati da luci di stelle. Elogia il lavoro, la terra, non sempre rispettata,
che ci dona copiosi frutti. Percorsi di pietra conducono alla salvezza divina.
Fra castelli merlati il bambinello nasce nella rustica stalla, dalla porta
sconnessa aperta, con il calore dell’amore divino. È un presepe ricco di
personaggi che si affannano nelle fatiche della vita. È fatto con cura, non
mancano i ruscelli, le montagne percorse da impervi e tortuosi tratturi, gli
anfratti segreti, né la sabbia ricordo di terre d’oriente. Anche qui mi
sovviene Seulo, i suoi scoscesi sassosi sentieri allietati dai rintocchi dei
campanacci, che suonano note diverse per distinguere i greggi o gli armenti
richiamati dai fischi dei pastori che spesso si distraggono zufolando.
Nel bar “Le mille voglie” ha preso forma il presepe del
territorio salentino dove pagliare, con diverse caratteristiche, e muretti a
secco creano l’atmosfera giusta. Qui è stato curato, soprattutto la
verosimiglianza con il Salento. Fra i muretti e le pietraie che lasciano spazio
al verde della vegetazione salentina c’è il muschio con alcuni ombelichi di
venere, per me sempre “cappeddus de muru” che tanto mi piacciono e che da
bambina usavo come piatti per la bambola. La stalla con la sacra famiglia è una
sorta di grotta in parte diroccata e per questo molto efficace nella
rappresentazione della Natività. Non mancano gli ulivi e l’aia circolare, dove
un somarello è impegnato nella trebbiatura. Si è un presepe calato in altri
tempi ma efficace nella rappresentazione delle intenzioni.
Sicuramente qui a Specchia sono stati allestiti molti altri
presepi, soprattutto nelle case, ma questi sono quelli aperti al pubblico che
io ho potuto visitare e apprezzare.
Il clou delle
manifestazioni del Natale è il “Presepe Vivente”
curato dall’Associazione Culturale Sportiva “Eugenia
Ravasco” Onlus insieme al Comune di Specchia e alla Parrocchia “Presentazione
della Vergine Maria” di Specchia. Il compito più impegnativo è, comunque,
dell’Associazione Culturale Sportiva Eugenia Ravasco che per tempo studia e
prepara le suggestioni del Presepe scegliendo il percorso, curando
l’allestimento delle scene e la rappresentazione
. Impegno, quest’anno,
triplicato a causa delle bravate di alcune persone che hanno pensato bene di
creare disagio rovinando alcune opere di scenografia. Ciò nonostante il giorno
25 dicembre alle ore 17 tutto è pronto.
Nella piazza antistante alla porta di Betlemme lo svolgersi
del rituale prevede che debbano prendere la parola le autorità civili e
religiose, per i discorsi inaugurali.
A parte un lieve ritardo del vescovo, che sicuramente ha
avuto il suo bel daffare celebrando l'inizio dei percorsi di più Presepi nelle
parrocchie da lui amministrate, tutto è proceduto senza intoppi.
Dalla via Roma si sente l’imperio dei comandi impartiti dal
comandante della legione romana che si appresta all’ingresso in Betlemme.
Sfilano eretti, alcuni con le armature che sembrano a placche, l’elmo che
contribuisce a renderli ancora più minacciosi, lo scudo convesso tenuto con
forza, il giavellotto e il gladio. Altri con lo scudo, probabilmente in duro
cuoio, procedono, inquadrati e precisi nei movimenti, eseguendo gli ordini con accuratezza.
Un soldato tiene al guinzaglio un bellissimo cane che incede con il capo chino,
non ha nulla di bellicoso ma ricorda come dovevano essere terribili i romani
nelle operazioni di conquista. Alcuni soldati battono su dei tamburi dando
ritmo alla formazione. Vestite con tuniche e mantelli seguono le matrone dalle
acconciature elaborate, le belle ragazze, i giovani e i bambini che daranno
significato alla ricostruzione del tempo.
Nella piazza degli Artisti i figuranti si apprestano a
disporsi nelle postazioni assegnate. C’è freddo ma tutti sembrano non sentirlo.
Il gruppo degli “Agorà canti antichi” è pronto per ricordare l’antica musica
salentina. Oltrepasso la porta che porta a Betlemme e lo scenario che mi
attende è emozionante. Tanti i piccoli “romani” attizzano i fuochi e si
scaldano. Sui tavoli piatti e scodelle sembra che attendano i commensali. Nella
casa del censimento predomina il colore rosso, gli arredamenti sono importanti.
Noto che vi sono delle armature, su trespoli o poggiate su bauli da viaggio,
pronte a essere indossate: si ha proprio l’idea d’essere in un luogo di
frontiera. Si fa la fila per essere censiti. Anch’io non mi sottraggo al dovere
e mi appresto a scrivere i miei dati. Il fatto d’essere ospite in questo bel
Borgo non mi fa sentire transfuga poiché ho la libertà di tornare a casa quando
lo desidero. Ben diversa è la situazione dei clandestini che muoiono a migliaia
nel Mediterraneo inseguendo un sogno di pace e benessere e, purtroppo, spesso
finiscono in ingranaggi della disonestà. Dopo mi avvio all’ingresso vero e
proprio, dove è gradita una piccolissima offerta, utile a predisporre il minimo
indispensabile per la prossima edizione. Giungo alla bottega del “conzalimmi”,
professione seppellita dal consumismo, intento, con una sorta di trapano, a far
dei buchi che gli serviranno a rimettere insieme i pezzi di un piatto rotto.
Questa bottega, priva d’ogni segno di benessere, mi fa pensare al nostro tempo
e a quanti piatti, scodelle finiscono nella spazzatura in un anno, per
lamentarci poi del costo dello smaltimento dei rifiuti. È proprio vero noi non
pensiamo mai al poco che serviva in passato per vivere felici!
“Ecco la Vergine che concepisce e dà alla luce un figlio e
gli porrà il nome di Emmanuele” (Isaia 7.14). - Recita così il cartello
all’ingresso della scena dell’Annunciazione. Mi fa subito pensare ai tempi del
fatto, ai costumi d’allora e alla giovanissima e immensa Maria che assunse la
sua missione biblica scevra dai trastulli della sua età. Mentalmente faccio un
paragone con la vita d’oggi soprattutto con la libertà che hanno giovani
occidentali, incapaci di sacrifici e rinunce. Penso pure alla prigione, non
solo fisica, che, ancora oggi, vivono le donne che in certe società non hanno
diritti e vengono uccise solo per un sospetto di “disonore”, che è, purtroppo,
il loro dolore d’esistere. Lo spazio dell’Annunciazione complessivamente mi è
piaciuto tantissimo sia per l’essenzialità dell’ambiente sia per l’interpretazione
di Maria inginocchiata e degli angioletti dalle mani giunte: tutto lascia
pensare alla spiritualità del fatto raccontato.
Mi avvio alla sinagoga, dove i sacerdoti sono intenti alle
letture. Delle piccole candele poggiate sul tavolo, raccontano con efficacia la
ritualità, anche in assenza del candelabro a sette braccia simbolo di maggiore
opulenza.
Mi perdo nel mondo delle tessitrici, delle ricamatrici e del
filet. Qui noto i licci, le rocche, i tessuti di vari colori legati alla
tradizione, le matasse, gli arcolai e un bellissimo telaio che mentalmente lego
alla sala della tessitura dei miei nonni. Ricamatrici intagliano i tessuti con
le loro creazioni, mentre una esegue la rete da fissare sul telaio da filet:
m'incanto e chiedo a tutte spiegazioni ammirando i manufatti meravigliosi. I
guanti fatti con il filet attirano particolarmente la mia attenzione. Penso
come mai mia sorella Cate, professoressa in pensione e maestra nei ricami se
pur ancora apprendista nel punto margarita, non ne abbia mai fatto un paio
così! Questo mi fa pensare che tutti i saperi antichi bisogna conservarli con
amore e tramandarli. Noto una paziente anziana che avvolge il filo come se
avvolgesse i ricordi di una vita. La dolcezza meravigliosa che scaturisce da
lei fa dimenticare i segni di sacrifici e di rinunce evidenti nelle tracce del
tempo delle sue mani e del suo viso.
Nell’antico "lavaturu" di pietra, pila, si
affanna, con le mani immerse nell’acqua gelida, la lavandaia mentre nel
"cofanu", lavatrice d’altri tempi, si fa la lisciva. Con il ferro a
carbone la stiratrice stira i panni tenuti con cura in un cesto.  Ricordo il passato, le madri della mia
zona che portavano in equilibrio in testa il catino con i panni per andare ai
ruscelli dove, nelle limpide piscine, facevano il bucato cantando le canzoni in
sardo; come se lavare fosse una gioia senza fatica. Sciorinavano poi il bucato
nei cespugli profumati e tornavano a casa portando tracce di fiori e arbusti.
Nelle giornate di sole invernali si recavano nelle sorgenti tiepide e stendevano
i panni negli spogli cespugli per farli gocciolare poi venivano disposti vicino
al cammino: avverto ancora l’odore di fumo camuffato poi con mazzi di lavanda.
Le giovani mamme in gruppo, spesso portavano in braccio i bimbi più piccoli,
che avrebbero dormito dentro il catino più grande al suono dello scorrere
dell’acqua, mentre i più grandi trotterellavano al loro fianco facendo un mare
di domande o cantando a gran voce.
Al lume di candela, in un’atmosfera molto colorata, alcune adolescenti
danno forma a presine e antiche bamboline. Ho rivisto le mie nipoti che ai
vestiti di bambola mettevano bottoni grandi che sbordavano dal corpo stesso
delle bambole!
Gli scribi, i sapienti dell’antichità, stilano o leggono i
loro documenti scritti su rotoli o tavolette. La loro precisione recitativa non
è stata distratta, dai rumori della via affollata, neanche per un attimo.
Un ambiente che mi è molto familiare è quello della
lavorazione del miele. La smielatura non era un problema per i miei genitori
che, armati di soffietto e coltello speciale, allontanavano le api con
l’intenso fumo, prodotto da arbusti idonei. Mi vengono in mente i favi
grondanti di miele profumato e la mia curiosità d’assaggiarlo, per scoprirne il
gusto, che mi portava subito a prenderne un pezzo masticandolo sino a che non
rimaneva che la cera: primordio delle mie gomme da masticare, il ricordo mi fa
sentire ancora il sapore. Amavo e amo moltissimo, soprattutto, il miele amaro!
Nella penombra m’imbatto con le pecorelle chiuse in un
recinto che consente d’osservarle da vicino. Alcuni bimbi attratti dalla loro
presenza cercano di accarezzarle ma loro intimorite da tanto via vai
indietreggiano nascondendosi ritmicamente una dietro all’altra.
Qui, come sempre, non mancano gli esperti della lavorazione
della pietra.
Sono attratta dalla lavorazione dei filati, dove alcune
persone, vicine al fuoco, districano la lana contenuta in sacchi di juta
grezza, altre la pettinano. Poggiate, noto delle conocchie ma non vedo
filatrici. A Seulo la mia prozia Totonia avrebbe completato l’opera con la
filatura che era il suo passatempo preferito e che continuava a fare anche
mentre ci raccontava le sue storie.
Non posso rimanere indifferente davanti alle creazioni con i
piccoli rotoli di carta e sono sorpresa dalla maestria con cui vengono fatti,
in carta pesta, i presepi con tutti i personaggi e le statuine. Mi sorprende
“il mondo tra le mani” grande opera sempre in cartapesta.
Nella corte che porta al forno molta legna attende d’essere
bruciata per la preparazione di pane e dolci. Entro e mi ritrovo in un ambiente
familiare, i profumi sono simili a quelli che avvertivo dai nonni nella mia
infanzia. Il fornaio attizza il fuoco mentre sul tavolo sono ormai lievitate le
palline di pasta che daranno luogo alle gustosissime "frise" locali.
Nella madia due ragazze impastano con cura la farina unita
all’acqua e al lievito. Più avanti è pronto l’impasto per le
"pittule", evidente anche nelle maniche di solerti lavoranti.
La macinatura del grano è fatta con un’antica macina in
pietra, manovrata da una giovane signora. La farina fuoriesce da una caditoia e
finisce dentro un sacco bianco a trame strette. La scena è d’altri tempi! Con
setacci e crivelli, dando dei piccoli colpi, alcune bimbe, separano la farina.
Tutto sa d’antico! Questa figurazione è di una poesia malinconica struggente.
Qui, mentalmente, riesco a sistemare i genitori, i nonni, la bisnonna: noi
piccoli, fratelli e cugini, che avevamo sempre in qualche modo le mani nella
farina o nel grano che scivolando dai nostri pugni chiusi cadeva a fontana nei
cestini lasciandoci una sensazione gradevolissima, come penso abbia il bimbo
che cerne il grano nella scena. Ci veniva sempre dato un po’ d’impasto per le
nostre pagnotte creative che cercavano d’imitare “su pani pintau” delle feste.
La casa di Elisabetta, dove è ricevuta Maria, è verosimile
per l’arredamento e per la ricostruzione coerente e benché povera sa di
elegante. Un tavolo, segnato da un uso continuo che si perde oltre il ricordo,
esalta suppellettili senza orpelli. L’essenzialità mi colpisce, come gli
strumenti da lavoro che mettono a nudo le privazioni e il loro passaggio da
generazione in generazioni. Le figuranti sono molto calate nelle parti tanto
che riescono a trasmettere l’idea di una visita molto gradita.
Spostandomi mi ritrovo in una bottega, dove sono esposti i
manufatti in pietra.
Arrivo dal bottaio “conzautti” e mi rendo conto che è
proprio ben rappresentato. Infatti, l’abbigliamento e l’aspetto fisico lo
rendono molto appropriato. Nella penombra appare sorridente come può essere una
persona che vive fra le botti e pensa a quando saranno riempite dal buon vino
salentino.
Ecco un’altra staccionata con le pecorelle che consumano il
pasto serale. Stranamente qui non sono attorniate dai bimbi curiosi!
Nella locanda c’è un grande affollamento di buongustai che
assaggiano i gustosissimi prodotti locali. Più in là i canestrini, per
gocciolare, sono disposti in fila e dentro vi viene versata la ricotta ancora
calda. In un’altra stanza trovo le massaie che preparano orecchiette,
minchiareddi e sagne torte. In molti si allontanano con sporte ricolme,
pregustando i buoni prodotti che cucineranno nelle loro case.
Noto la presenza di antichi strumenti, usati dal maestro con
competenza, nella falegnameria: anche qui la scena è curata nei minimi
dettagli.
Mi stupisce l’intreccio che dà luogo ai cestini. All’opera
una giovane signora che appare molto esperta e precisa. In questo laboratorio,
che mi suggerisce tempi passati, sono colpita da una piccola borsa con
coperchio, che, stranamente, somiglia al cestino per la merenda che usavo
quando andavo all’asilo.
Come si conviene per un grande evento la sala del matrimonio
di Maria e Giuseppe ha un’aria di solennità ma conserva un’elegante sobrietà:
nulla è eccessivo. Chi è seduto al desco si contenta di poche cose quali
stoviglie in terracotta, ampolle in metallo un po’ di pane: tutto è giusto e
non stride con la rappresentazione. Sembra proprio che si sia seguita la
scritta che si trova all’ingresso.
“Il matrimonio tra Maria e Giuseppe dovette essere molto semplice.
Quando la famiglia di Maria raggiunse un accordo con Giuseppe si celebrò lo
sposalizio. Trascorso un certo tempo, Giuseppe condusse Maria nella propria
casa secondo la legge di Mosè”.
Incontra dei meravigliosi angioletti con la fascia del
“Gloria”. Mi soffermo. Sono così belli da suscitare enorme emozione.
I pastorelli, con le loro gabbiette, sostano o muovano quasi
seguendo il ritmo delle zampogne suonate dai pastori. Qui la musica dà la
sensazione di trovarsi realmente nel cuore della Natività: nella mia terra
accompagnata dalle melodie delle “Launeddas”.
I richiami del mercato sono udibili da lontano. Canestri di
profumato pane, cesti di frutta e verdura attirano i visitatori che fanno
capannello.
Intorno ardono i fuochi dove, spesso, si fermano anche i
visitatori per scaldarsi.
Incontro il recinto con le oche che non sembrano curarsi del
traffico di persone.
Le strade, del rinnovato percorso, sono illuminate da
piccole lanterne a candela, molto funzionali, in alcune zone ci sono dei lumini
dentro ciotole o dei fuochi che rendono il clima incantevole.
Dei battiti ritmici ci annunciano che nei pressi c’è un
fabbro. Osservo come si affanna pestando sull’incudine mentre con il soffietto
dà aria al fuoco per rendere incandescente il metallo da forgiare. Vedo che
l’ambiente è rustico e tutti gli utensili sono manuali e risalgono al periodo
in cui tutto era costruito manualmente e ritento prezioso.
Artigiani e artisti realizzano con diverse tecniche i loro
manufatti creando curiosità fra i visitatori avvezzi solo agli oggetti finiti.
Le caldarroste e il loro profumo invitante mi riportano alla
mia casa natale dove d’inverno, quasi tutte le sere, si facevano saltare le
castagne in una padella con i buchi, era un rito che scaldava le mani e ci
lasciava in bocca un gusto indescrivibile. Ciò che mi piaceva maggiormente
erano i racconti dei genitori e dei nonni che così ci intrattenevano senza
farci annoiare e senza televisore.
Non posso passare dritta davanti alla bottega dei panari e
dei cannizzi. Le creazioni dei maestri sono proprio belle e penso, dopo averne
immaginato l’uso, che nelle case moderne potrebbero essere esteticamente
interessanti come porta oggetti o per mille altre funzioni.
Fra le ricamatrici, che non perdono tempo, trovo tutta il fascino
e l’eleganza delle cose fatte a mano. Qui macramè, punto antico, chiacchierino,
uncinetto e tombolo non sono un mistero, sicuramente le mie sorelle ci
avrebbero passato l’intera serata. Io, benché apprezzi tutti i ricami, quando
mi trovo in mano l’imparaticcio, ricordo il buco che feci cercando d’imparare
il punto turco: un disastro! 
Nel banchetto del mercato all’aperto è in bella mostra tanta
frutta e verdura “casalina” che non passa inosservata alle massaie curiose.
Il calzolaio sta in una stanzetta spoglia, con lui un
apprendista molto concentrato nell’imparare. Le scarpe da riparare sono proprio
poche, perché poche erano in altri tempi quando moltissime persone avevano
trasformato la pelle dei piedi in suole e tomaie.
Che fila davanti al pane "rostutu"! Basta proprio
poco per riscoprire il gusto degli antichi sapori!
Rincontro gli “Agorà canti antichi” in un momento di
rilassamento. Hanno messo a riposo i tamburelli e la voce. Sono fra
"cannizzi" e panari intenti ad assaggiare i prodotti salentini, molto
graditi anche ai visitatori.
Nel Borgo sotto il castello molti fuochi hanno perso la
vivacità ma una bettola all’aperto rallegra tutti.
A Specchia l’ulivo è sovrano per cui non poteva mancare
l’intagliatore del suo legno che ritrovo in un rustico spazio fra oggetti
finiti o abbozzati.
Sacchi abbandonati, balle di paglia e tracce di fieno
portano sino alla vigna della piazza. I viticci sono privi di pampini e fra i
filari è cresciuta l’erba, che piacerebbe tanto a tutte le pecorelle dei
recinti disseminati nel percorso. Le pale del fico d’india mettono in risalto
le volute dei vitigni nostrani. Gli alberelli ai bordi rendono molto realistica
una scena curata e perfezionata edizione dopo edizione.
L’eco dei bagordi della casa di Erode si ode da lontano. Qui
danze, luci e lustrini ricordano l’opulenza che non ha controllo. Bene
interpretata, nei contenuti poco spirituali, la scena, nel complesso, è molto
caratterizzata.
Nell’aia situata nella piazza, il cavallo pare gradire il
fieno posto nel calesse. Pur non somigliando ai cavalli che erano allevati dal
mio babbo, riesce ugualmente a ricordarmi le mie cavalcate, alcune volte,
spericolate.
Una luminosa stella cometa mi conduce nell’atrio del
castello. Qui faccio la fila e osservo i fuochi vivaci attorniati da bambini
figuranti.
Noto una scena con tronchi che fungono da sgabello e tanto lirismo
di gioia si avverte intorno.
Giunta al cospetto della sacra famiglia, composta e semplice,
sistemata fra cumuli di paglia, che hanno lasciato molte tracce sul pavimento.
Mi soffermo a osservare l’ambiente che, nella povertà evidente, esalta la
Natività che sicuramente è somigliante a quella avvenuta in un luogo spartano e
povero quale poteva essere Betlemme. Nella scena molti bambini e angioletti si
muovono con spontaneità creando un clima religioso di famiglia. La scena è
molto bella e descrive molto bene l’atmosfera divina.
Rincontro pastori e zampognari che contribuiscono a rendere
questo “Presepe Vivente” una rappresentazione di movimentata gioiosa
spiritualità.
I Re Magi all’orizzonte si apprestano. Hanno seguito la
stella di fede che ha animato gli interpreti del Presepe vivente di Specchia.
Sono giunti, regali e maestosi nei loro ricchi mantelli. Onorano il Bambinello
e presentano i doni. Avverto la malinconia di una festa conclusa in un bacio di
speranza di pace, serenità e lavoro. Tutti s’inchinano davanti al Gesù della
chiesa porto premurosamente da Don Antonio De Giorgi.
Devo dire che in questa in edizione del Presepe Vivente mi
ha impressionato favorevolmente il clima di povertà, che farebbe contento pure
papa Francesco che non si stanca di ricordare che Gesù non è nato in una
reggia, e la recitazione puntuale.
Le scene sono state tutte all’altezza del fine. Il percorso
mi è piaciuto per gli scorci e gli ambienti che sono stati inseriti.
Voglio fare un complimento a Rita e a tutti gli
organizzatori che fra bambini che dovevano figurare Gesù ammalati, vandali e
incendi sono riusciti, anche nell’emergenza, a dare esempio di grande
sensibilità e competenza organizzativa. Quest’edizione mi convince ancora di
più che il Borgo Antico di Specchia è proprio il luogo ideale per queste
rappresentazioni. I palazzi, le corti, le antiche tecniche delle costruzioni lo
caratterizzano talmente che non si potrebbe pensare a un luogo migliore per il
Presepe Vivente. 
Specchia gennaio 2015                                                       
Federica Murgia